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Ferrari nel Medioevo

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Nella fascia di territorio posta fra l’attuale Ferrari e l’antico sito di Rocca Solla, al di sotto della via Ferrari-S. Martino, fu costruito un fundus da un Fontilius, centro accentrato dove abitavano alcune famiglie di contadini e pastori, diretti da un conductor locale. Il sito aveva caratteristiche poderali con una vasta area agraria denominata Pezze, posta sull’altra sponda, e da una serie di piccoli insediamenti rurali, collegati con il centro dominico mediante un ponte e una piccola rete viaria.
Le caratteristiche geografiche di Fontigliano e dei vari insediamenti di Pezze consentirono, probabilmente, una certa continuità abitativa anche durante la terribile crisi economica del VI e VII secolo e durante tutto il periodo longobardo (1)
Nel periodo normanno si costituì, nella parte alta del vecchio fundus e della curtis una serie di insediamenti accentrati e fortificati, inseriti in un sistema più vasto e organizzato di controllo e difesa delle via di accesso al castello. Questa piccola enclave, formatasi a partire dagli ultimi decenni del XI secolo, divenne, dopo la smembramento del feudo e l’assegnazione del territorio ai vari militi, il luogo di residenza di Simon de Imperato. Il nuovo signore costruì una piccolo castello o rocca, costituito, probabilmente, come era in uso normanno, da una casa torre quadrangolare, formata da vani terranei dove vi erano i depositi e il palmentum, e uno o due piani superiori che ospitavano la famiglia del milite.
02
Un ampio cortile disimpegnava la torre con le costruzioni di servizio quale le stalle per il cavallo del signore e alloggio per le guardie addette alla sicurezza. Il tutto era circondata da una cinta muraria, fossato e da ponte levatoio che permetteva l’entrata nella parte signorile. Alla dipendenza del milite c’erano delle famiglie servili dislocate o nelle immediate vicinanze o poste in siti significativi quali fontana “Cemena” e Chiararso, che garantivano il denaro necessario alla funzione militare del nobile normanno e dell’insediamento signorile. Sotto la sua protezione l’intera zona venne valorizzata con impianto di vigneti ed oliveti e nella parte pianeggiante da colture di foraggio e granaglie.
Nel periodo tardo normanno e nel successivo secolo riteniamo che ci sia stata una continuità abitativa del villaggio degli Imperato. La differenza tra il primo insediamento e il secondo è dovuto dal livello sociale degli abitanti e dalla funzione di Rocca Solla. Durante il ‘200, infatti, il fortilizio fu dato con molta probabilità, in concessione ad un vassallo della Chiesa, che garantiva lavoro e sicurezza ai villani del luogo.
La viabilità normanna-sveva era costituita, probabilmente, da un diverticolo che dalla rocca normanna conduceva alla Fratta e all’Acqua Viva. Lungo questa strettola erano ubicate una serie di case, abitate da piccoli proprietari terrieri.
03
La Guerra del Vespro provocò l’abbandono di parte di queste abitazioni e la riconsiderazioni della parte più accline. Furono costruiti una serie terrazzamenti murati con entrata sotto arco lungo la strettola per consentire l’approvvigionamento di acqua dalla sorgente Acqua Viva.
I nuclei umanizzati erano costituiti da una serie di case fortificate a corte chiusa con apertura sotto arco, un piccolo cortile interno, depositi e stalle per gli animali e da orti siepati. I tre siti terrazzati e murati, durante il Trecento, costituivano un’unica entità abitativa denominata Ferrari. La sua componente sociale era costituita dalle famiglie di origine vassallatica, dei Durco, (2) De Angelo, Damolidei e Ferrari, e da altri nuclei famigliari di agricoltori e pastori. Pe la presenza di questi personaggi di ceto elevato e per numero di abitanti, l’antroponimo Ferrari, riferito inizialmente al nucleo superiore, si estese, probabilmente già nel corso del secolo, agli altri borghi vicini. Per queste ragioni l’intero villaggio era denominato, probabilmente, nella prima metà del XV secolo col nome di Ferrari. Il termine Casale, invece, rimase nel gergo locale ad indicare la parte alta dell’attuale abitato.
04
Nei primi decenni del Quattrocento, l’intero villaggio era costituito da diversi borghi, siti nella parte alta e bassa dell’attuale centro storico, lungo una serie di strettole, dove insistevano le case costruite durante il secolo precedente. Nel corso del secolo la relativa sicurezza, la crescita socio economico e l’aumento demografico portarono all’ampliamento dei vecchi abitati, la costruzione di nuove case lungo l’asse stradale proveniente da S. Martino, sulle strettole della Fontana e di “via delli Bassi” e all’apertura di un nuova via in direzione della chiesa parrocchiale di S. Eustachio. Grazie a una nuova vitalità e un accresciuto tono economico, nel villaggio emigrarono diverse famiglie, provenienti da altri abitati di Montecorvino e dalle Università vicine. Durante l’intero secolo, infatti, sono documentate le vecchie casate dei Ferrari, Damolidei, Durco e De Angelo e le nuove famiglie dei Piccoli, Pizzuti, Bassi o Vassi, De Gilio, de Tesauro, De Cunzolo, Serino, Invidiati (Immediata), Barbiero, Meo, e Cioffi.
Note
  1. “26 ottobre 1559: Ampilio Damolidei vende a Maffeo Damolidei una terra ortale con alberi di fico et olive, sita nel loco ubi dicitur la Corte, bono Salemme Invidiato, Remedio Damolidei et altri”. A.S.S., notaio F. D’Alessio, B. 3251.
  2. L’antroponimo è documentato nel 1504: Costantio Damolidei di Montecorbino per un pezo di terra con olive e vite vitato ubi do li Durchi”. A.D.S., Reg. Mensa n. 2.

Fontigliano

01

Nella fascia di territorio posta fra l’attuale Ferrari e l’antico sito di Rocca Solla, al di sotto della via Ferrari-S. Martino, (1) fu fondato da un Fontilius un fundus con relativa abitazione, depositi per i prodotti agricoli e stalle per gli animali domestici. Collegato con i vicini fundus di Nebulano e Casa Marzana, era dotato di una sorgente perenne, denominata nel XVI secolo Acqua Viva, (2) che garantiva un approvvigionamento idrico per tutto l’anno. Il nucleo abitativo era al centro di una vasta proprietà, diretta dal conductor locale, abitato da manodopera servile e da allevatori di bestiame. Rappresentava, insieme alle varie Pezze (fondi agrari), fra il tardo antico e il periodo latino medievale, l’unica entità umana presente presso gli attuali villaggi di S. Eustachio.

L’arrivo dei Longobardi e il loro insediamento sul monte Faragna portò all’espropriazione delle proprietà del fundus con l’assegnazione di parte del territorio, per diritto di Hospitalitas, al faraman di Piano Antico. Il sito in conseguenza dell’occupazione militare e delle modificate condizioni di potere fu abbandonato dalle famiglie residenti con il relativo degrado di parte dei coltivi esistenti.
02
Note
  1. “10 febbraio 1562: Il Magn. Innocenzio de Alessio vende a Massenzio de Angelo una terza parte di una possessione, sita nel casale Ferrarioru e proprio dicitur Fontigliano, pertinente Montecorvino, giusto i beni di Carolo de Angelo, via pubblica, Vespasiano Damolidei, giusto fiume Cornea, per un prezzo di duc. 40. Due parti sono di detto Innocenzio e la terza parte è redditizia a Santa Maria di Fontigliano”. A.S.S., notaio F. D’Alessio, B. 3252.
  2. “26 aprile 1597: Acqua Viva detta Fontigliano. A.S.S., notaio F. Maiorino, B. 3273.

La Rocca

01
Nel periodo normanno, sotto il convento dei Cappuccini, vicino il vicolo Damolidei, (1) si formò un piccolo insediamento abitato da villani dipendenti dal milites della Rocca. Non avendo elementi documentali, si può ipotizzare che il micro abitato si sia formato negli ultimo decenni del XI secolo o nel primo quarto del XII secolo.
Il sito era delimitato da due vie, Rocca- S. Martimo e Rocca- Ferrari (2) in un territorio caratterizzato da scoscendimenti e terrazzamenti e dalla presenza di importanti sorgenti di acqua. Queste caratteristiche garantivano una facile difesa e una costante approvvigionamento di acqua durante tutto l’anno. (3)
Il borgo era costituito, probabilmente, da due o più abitazioni in legno o muratura, depositi per i prodotti agricoli e per attrezzi da lavoro, palmentum, ricoveri e recinti per animali domestici e da lavoro.
Con la caduta del castello e lo smembramento del feudo in piccoli “feudi allodiali”, sulla collinetta della Pietà si insediarono i De Corsellis, una delle famiglie più importanti di Montecorvino. Negli anni ‘60 e ’70 del XII secolo gli eredi del primo feudatario, Matteo e Goffredo, emigrarono a Salerno lasciando la gestione dei beni a uomini di fiducia.
02
Matteo nel 1172 vende all’Arcivescovo di Salerno la sua porzione di S. Maria della Rocca. (4) La chiesa era tenuta da un rettore incaricato alla gestione dell’edificio sacro, del borgo fortificato e del casale circostante. Il discreto numero di beni e la sua fortuna cultuale, consentirono alla chiesa nei decenni successivi di assurgere a ruolo di “parrocchia”. (6)
Note
  1. “29 luglio 1565: Nella dote di Vita de Gilio, sposata con Allegracore Diomelodiede, vi è una casa consistente in cinque membri, soprani e sottani, sita nel casale Ferrari, confinante con Miliani de Gilio, via pubblica et altri. Item una terra ortale contigua, sita nel medesimo casale e proprio dicitur la Rocca, confinante con Joe Sapati de Gilio, Politoro de Gilio et altri”. A.S.S., notaio F. D’Alessio, B. 3253.
  2. Elenco dei beni della Chiesa di S. Pietro del 1634: “Il clerico Govan Carlo Denza rende ogni anno sopra l’oliveto sito alla Rocca, confinante con li beni di Santa Maria della Rocca, il giardino dei Padri Cappuccini e la via pubblica che va a Ferrari”. Archivio di San Pietro di Montecorvino, Libro Campione n. 15, p.
  3. “1 gennaio 1585: Pompeo Damolodede possiede due domo, una terranea detta la macina co cellara seu fabrita contigua e l’altra palaziata, con orto murato, similmente contiguo, siti nel casale Ferrarioru, confinante con gli eredi di Joe Fabrizio Damolidede, giusto torrente Acqua Viva e altri”.
  4. A. Giordano, Le pergamene dell’Archivio Diocesano di Salerno (841-1193), Battipaglia 2015.
    Sei – D’Arminio – L. Scarpiello -V. Cardine, Chiese di Montecorvino e Gauro. Istituzioni religiose e vita sociale nella Diocesi di Acerno, Montecorvino Rovella febbraio 2018, pp. 70-106. S. Paraggio, La Chiesa di S. Pietro. Insigne Collegiata Matrice Curata. Notizie e documenti, Battipaglia 2003, p. 49.

Rocca Solla

01
Nel luogo posto ad angolo di un incrocio viario, su di un piccolo pianoro (1) in zona fortemente accline e ricca di acqua fu costruita, probabilmente negli ultimi decenni del XI secolo, una rocca da un milite normanno al servizio del signore del castello. La costruzione era costituita da una parte signorile e una parte servile.
La residenza del milite consisteva, probabilmente, come era in uso normanno, da una casa torre quadrangolare, formata da vani terranei dove vi erano i depositi e il palmento, e uno o due piani superiori per la famiglia del milite. La parte terminale, era un piano scoperto “attico merlato” utilizzato da una guardia per il controllo delle sito. (2) Un ampio cortile disimpegnava la torre con le costruzioni di servizio quale la stalla per il cavallo del signore e l’alloggio per le guardie addette alla sicurezza. Il tutto era circondato da una cinta muraria, fossato e da ponte levatoio che permetteva l’entrata nella parte signorile. La nostra costruzione faceva parte di un sistema di controllo e difesa alle vie di accesso al castello e agli altri siti normanni. Infatti, il fortilizio era posizionato alla biforcazione viaria che conduceva a S. Martino, Rovella e Molinati.
Alla dipendenza del milite vi erano delle famiglie servili dislocate o nelle immediate vicinanze o poste in siti significativi quali fontana “Cemena” e Chiararso, che garantivano il denaro necessario alla funzione militare del nobile normanno e dell’insediamento signorile. Sotto la sua protezione l’intera zona venne valorizzata con impianto di vigneti ed oliveti e nella parte pianeggiante da colture di foraggio e granaglie.
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Nel 1122 con la caduta del castello e lo smembramento del feudo in piccoli “feudi allodiali” la rocca fu assegnata, con molta probabilità, alla famiglia Imperato. L’assegnazione a questa famiglia, da parte nostra, viene desunta dalla descrizione del “Catalogo dei Baroni” in cui Goffredo de Corsellis si assume la responsabilità di dichiarare la consistenza servile di Simone e Guido de Imperato. (3) La dichiarazione era dovuta a nostro parere alla vicinanza territoriale dei tre feudi posti rispettivamente alla Rocca, Rocca Solla e Castiuli. Negli anni ‘50 del secolo la nostra Rocca, probabilmente, apparteneva a Simone de Imperato, il quale ampliò l’insediamento con la costruzione nella parte sottostante di un altra cinta muraria al cui interno erano posti depositi di grano e fieno, palmentum per il vino, stalle per i buoi e altri animali domestici. La sua capacita amministrativa e militare favorì un aumento della popolazione servile. Nel Catalogo dei Baroni, infatti, il milite aveva alle sue dipendenze ben 15 villani, dislocati a Rocca Solla e nei vicini nuclei abitati.
L’assegnazione del feudo di Montecorvino alla Mensa Arcivescovile di Salerno mutò l’assetto del potere locale esistente, determinando l’emigrazione definitiva del nostro milite o dei suoi discendenti a Salerno e/o in altri luoghi del Regno.
03
Il toponimo di tale rocca detta Solla, deriva a nostro parere dall’antroponimo troncato di “Tommasullo” da cui deriva Rocca di Masullo in seguito Sullo. La declinazione al femminile del termine era dovuta alla nome rocca. Il nome del proprietario Tomasullo si riferisce o ad un discendente della famiglia di Simone oppure al nuovo proprietario del luogo, il quale per distinguersi dalla famiglia Imperato impose il suo nome al vecchio fortilizio normanno.
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Note
  1. “21 novembre 1555: Cristofano Vasu di Ferrari assegna a Troiano Diomelodiede, tutore di degli eredi di Geloromo Diomelodiede, del medesimo casale, una vinea vineata con alberi di olivi, querce et altri alberi, sita nel loco ditto la Rocca de Solla, giusto i beni di Jacobi de Cunzolo, Martino Piccolo, eredi del fu Joe Tomasi Pezuto”. A.S.S., notaio F. D’Alessio, B. 3250.
    “16 febbraio 1613: Matrimonio fra Tomaso Vasso, figlio del fu Laudisio e Altabella Denza, e Ortenzia Invidiata. Alla sposa viene assegnata una dote in corredo, denaro corrente e beni, fra cui una possessione sita a Rocca de Solla, confinante con Antoni Scafilo, Michele Piccolo, via pubblica e via vicinale e proprio quella porzione soprana con certi piedi di olivi, vigne ed altri alberi fruttiferi, come tira un fosso et esce ad un pede de ulmo con edera alla confino di Antoni Scafilo e continua fosso fosso al diritto alla via pubblica a un altro piede de ulmo”. A.S.S., notaio V. De Dina, B. 3277.
  2. G. Coppola, L’architettura dell’Italia Meridionale in età normanna (secoli XI-XII), Napoli maggio 2005, pp. 40-41.
  3. “Simon de Imperato qui dixit sororem Alferii Pappacarbonis sicut dixit Goffridus Corsellus tenet Villanos XV e cum augmento obtulit militem unum”. “Simone de Imperato che aveva sposato la sorella di Alferio Pappacarbone, così come ha testimoniato Goffredo de Corsellis tiene quindici villlani e con l’aumento ha offerto (oppure dato) un milite”.
    “Guido de Imperato sicut dixit Goffridus Corsellius tenet Villanos IX et cum augumento obtulit militem unum”. “Guido de Imperato così come ha testimoniato Goffredo de Corsellis tiene nove villani e con l’aumento ha offerto (o dato) un milite”. E. Jamison, Catologus Baronum, da fonti per la storia d’Italia n. 101, Roma Istituto Geografico Italiano 1972, pp. 96-98-100. E. Cuozzo, Catalogus Baronum, Commentario Roma, Istituto Storico Italiano 1984, pp. 532-533.

La Fratta

01
Il toponimo deriva da “frata” – Luogo incolto e posizionato vicino a luoghi fortificati o anche da fracta, terreno disboscato, siepe. (1) Considerando le due definizioni del toponimo, possiamo affermare che esisteva un piccolo abitato sparso sito tra la Rocca (Ferrari), (2) Rocca Solla (3) e Fontana “Cemena”, delimitato nella parte sottostante dalle due vie pubbliche, Ferrari- S. Martino (4) e Fontana Cemena-Rocca Solla.
Nel periodo tardo normanno e nel successivo secolo riteniamo che ci sia stata una continuità abitativa del villaggio degli Imperato. La differenza tra il primo insediamento e il secondo è dovuto dal livello sociale degli abitanti e della funzione di Rocca Solla. Durante il ‘200, infatti, il fortilizio fu dato con molta probabilità, in concessione ad un vassallo della Chiesa, che garantiva lavoro e sicurezza ai villani del luogo. La presenza abitativa, probabilmente, viene meno durante la Guerra del Vespro a causa della insicurezza e del banditismo dilagante, costringendo le famiglie residenti a spostarsi verso la Rocca (Ferrari).
02
Il sito di Fontana Cemena per la presenza della sorgete d’acqua perenne fu già utilizzato nel periodo normanno dalle famiglie del luogo per rifornirsi di acqua e dai villani del milite per abbeverare i buoi del signore. Nei secoli successivi i vari proprietari mantennero la funzione della fontana, ristrutturando i fontanini e ampliando l’abbeveratoio per le greggi e gli animali da pascolo.
Il toponimo è documentato nel testamento di Don Gennaro Maiorini nel 1508, con il termine “la Fratta seu Fontana Cemmena”. (5) Il nome potrebbe riferirsi al nome di Cemmenus proprietario del fondo dove insisteva la fontana.
03
Note
  1.  “Fratta da Fracta, luogo incolto e pare vicino al luogo fortificato o anche da terreno disboscato, recinto murato”. S. Pellegrini, Attraverso la toponomastica urbana medievale in Italia, in Topografia urbana e vita cittadina nell’alto medioevo in Occidente, in Settimane di studio del CISAM, XXI, Spoleto 1973, p. 447.
  2. “7 marzo 1583: Andrea e Antonio de Alessio possiedono una terra con alberi di olivi, ulmo, fico et altri alberi fruttiferi, sita in casali Ferrari e proprio ubi dicitur la Fratta seu la Rocca, giusto la via pubblica, Magn. Diamante Diomelodiede, e Leonardo Pezuti”. A.S.S., notaio N. Venturello, B. 3249.
  3. “4 agosto 1607: Possessione alla Fratta detta Rocca Solla”. A.S.S., notaio V. Vasso, B. 3266.
  4. 15 febbraio 1706: Oliveto a Ferrari, confinante con la strada pubblica ad oriente”. A.S.S., notaio G. Abinente, B. 3317.
  5. “5 maggio 1508: Donazione di beni del Rev. D. Gennaro Maiorino alla Chiesa di Santa Maria delle Grazie da lui fondata a Montecorvino:
    Item un’altra terra, sita e posta in pertinenza della Terra di Montecorvino, propriamente nel luogo detta la Fratta ovvero Fontana Cemmene, con alberi di olivi ed altri alberi da frutto, che proprio lui Sign. D. Gennaro comprò dai Signori Scipione e Tomaso, figli di Marino De Napoli, a confine con la via pubblica da due parti, i beni dotali di Giacomo Maglione e la fonte chiamata Fontana Cemmene”. C. Tavarone, Racconto storico e artistico della cappella di S. Maria delle Grazie in Montecorvino Rovella, Sarno dicembre 2018, p. 76.

Rocca e Casale

01
La viabilità normanna-sveva era costituita da un diverticolo che dalla rocca normanna conduceva alla Fratta e all’Acqua Viva. Lungo questa strettola erano ubicate una serie di case, abitate da piccoli proprietari terrieri.
La Guerra del Vespro provocò l’abbandono di parte di queste abitazioni e la riconsiderazioni della parte più accline. Furono costruiti una serie terrazzamenti murati con entrata sotto arco lungo la strettola per consentire l’approvvigionamento di acqua dalla sorgente Acqua Viva. (1)
Il primo terrazzamento, posto al disopra della via, rappresenta in ordine di tempo il primo ad essere costruito, con molta probabilità fra la fine del ‘200 e la prima metà del XIV, da un membro della famiglia Ferraro, documentata nel 1308 nel vicino villaggio di S. Martino. (2) Il nucleo umanizzato era costituito da una serie di case fortificate a corte chiusa con apertura sotto arco, un piccolo cortile interno, depositi e stalle per gli animali e da orti siepati. La crescita sociale e demografica con conseguente divisioni in più rami dei Ferrari consentì l’ampliamento del costruito e la formazione di un piccolo casale denominato Ferrari.
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Nel secondo ripiano murato si insediò, probabilmente, nella prima metà del Trecento un vassallo della chiesa, appartenente ai Damolidei di Olevano. “Questa famiglia eminente ed importante di Olevano, documentata nel 1203 con un Demeloddeus, era nel XIII secolo una delle più importanti dell’Università. Mantenutasi lontano dagli incarichi durante i disordini di fine secolo, ricompare nel 1307 con “Deumilududum, sindacos di Olibano”. (3) La fedeltà dimostrata alla Chiesa di Salerno consentì alla famiglia di ricevere incarichi e concessioni feudali ad Olevano e Montecorvino. La famiglia si trasferisce nel nostro borgo negli anni ’30 del Trecento, quando il padre dei fratelli Damolidei acquista e riceve la gabella degli erbaggi per conto degli Arcivescovi Feudatari. Alcuni anni dopo, Gregorio, insieme al fratello, ricopre il ruolo paterno di esattore degli herbaggi, gabella molto importante e fra le più lucrose dell’Università. Nel 1370, il Damolidei afferma: “sul quarto [articolo] … [interrogato] sulle circostanze disse che lo stesso teste per tutte le cose, e aggiunse che lo stesso teste e suo fratello comprarono il detto erbaggio per sessantadue once dagli Ufficiali del signor Arcivescovo. Interrogato da quanto tempo disse da quarant’anni”. (4) Da quanto detto dal Nostro la cifra da corrispondere alla Chiesa di Salerno era di ben oncie 62, una somma notevole per un tipo di gabella molta onerosa, la quale richiedeva molto impegno nella gestione e nella riscossione in un territorio vasto e ampio quale era il “Tenimento di Montecorvino”. I fratelli Damolidei, quindi, oltre ad avere una grossa disponibilità finanziaria, erano in grado di esercitare tale incarico, avendo al loro sevizio diversi uomini armati e aderenze amicali con le varie famiglie eminenti di Montecorvino.
03
Nel terzo terrazzamento, posto nella parte bassa, era costituito, probabilmente, da piccole abitazioni, circondato da mura e siepi e abitato da famiglie che dipendevano ed erano al servizio dei Ferrari e Damolidei. L’ingresso a questo piccolo nucleo umanizzato era formato da un cancello sotto arco, vicino o sotto una piccola torre. (5)
I tre siti terrazzati e murati, durante il XIV secolo, costituivano un’unica entità abitativa denominata Ferrari. La sua componente sociale era costituita da due famiglie di origine vassallatica, Damolidei e Ferrari, e da altri nuclei di agricoltori e pastori al servizio delle predette famiglie. Pe la presenza di questi personaggi di ceto elevato e per numero di abitanti, l’antroponimo Ferrari si estese, probabilmente già nel corso del secolo, agli altri borghi vicini. Per queste ragioni l’intero villaggio era denominato nella prima metà del XV secolo col nome di Ferrari. Il termine Casale, invece, rimase nel gergo locale ad indicare la parte alta dell’attuale abitato.
Dai primi decenni del ‘400, i tre nuclei trecenteschi furono parzialmente abbandonati dai suoi abitanti, i quali preferirono costruire in direzione della strada nuove case e vani di servizio. Nell’abitato dei Ferrari assistiamo all’emigrazione di parte dei vari nuclei della famiglia verso altri casali e l’estinzione di alcuni rami nelle famiglie Cioffi e De Gilio. Furono edificate altre abitazioni nei pressi dell’attuale vicolo Damolidei, le quali, insieme a quelle del Casale, costituirono un unico aggregato, chiuso e circondato da orti siepati e dotato di una o più porte di ingresso. Fra i nuovi personaggi arrivati in loco per tutelare beni acquisiti da un matrimonio o da concessioni feudali vi erano alcuni membri delle famiglie De Gilio, (6) de Tesauro, De Cunzolo (7) e Cioffi.
04
Diomede Cioffi di S. Cipriano emigrò a Montecorvino, (8) probabilmente, negli anni ’50 del secolo in seguito a un matrimonio con una fanciulla del luogo, dotata di cospicui beni. Uomo facoltoso ed eminente costruì una serie di abitazioni nella parte alta dell’attuale vicolo Damolidei, (9) e precisamente nella parte inferiore di una vasta proprietà, denominata nel corso del secolo successivo e nel ‘600 la Tempa dei Cioffi. (10) Dalla moglie, di cui non conosciamo il casato, forse una Ferrari, ebbe numerosi figli:
  1. “Alessandro, regio notaio e giudice in Montecorvino. Nel 1502 insieme al fratello Antonio ebbe in concessione l’affitto dei beni del Monastero di S. Lorenzo di Salerno”. (11)
  2. “Antonio fu regio consigliere di Alfonso II ottenendo il privilegio di esenzione, abitò a Napoli in un vasto palazzo, circondato da giardino e sito nella piazzetta dell’Arco, al seggio di Nido. Possedette un feudo fuori Napoli di circa 30 moggi, arborato e cinto di mura. Sembra che fosse un personaggio tenuto in gran conto dai re aragonesi. Aveva ricevuto dal re Federico D’Aragona 1.500 ducati sui diritti fiscali di terra d’Otranto. Fu credenziere della Regio dogana di Castellamare di Stabia, fra le più importanti del Regno, e infine una concessione di tutto il territorio appartenete alla Regia Curia, situata in Marittima Puntealorum. Tutti questi privilegi di re Federico li perse nel 1505 quando Ferdinando il Cattolico annullò gli atti di questo re”. (12) Per il ruolo svolto nel breve regno di Alfonso II fu quasi sicuramente il principale artefice del rilascio del diploma di nobiltà alle ventitré famiglie di Montecorvino. Negli ultimi anni della sua vita si ritirò nella casa natia di Ferrari, esercitando la professione di regio notaio. Nel maggio del 1508 lo traviamo al capezzale del sacerdote d. Gennaro Maiorino per scrivere e rogare l’ultimo e finale testamento. (13)
  3. Scipione II “fu dottore in Utrusque, regio notaio e giudice in Montecorvino e Salerno, patrizio e feudatario a Montecorvino sua terra natia e non venendo meno alla tradizione dei suoi avi di risiedere a Napoli alla corte degli Aragonesi. Fu cavaliere del Seggio di Porto, dove erano stati altri suoi avi, fu prediletto particolarmente da Ferdinando e Federico II. Sostenne e fu a fianco del re nella congiura dei baroni e re Federico II il 15 ottobre 1496 gli concesse un importantissimo privilegio, in riconoscimento dei suoi meriti, lo creò famigliare domestico e Commensale regio, trasmettibile ai suoi eredi, con tutti i privilegi di codesto istituto. Lo esentò dal pagamento di ogni tassa imposta e imponibile in futuro. Con la caduta della monarchia Aragonese si ritirò a Montecorvino, esercitando la professione di notaio”. (14)
  4. “Altri figli meno noti sono Giovanni e Luigi. Il primo chirurgo del re, nel 8 marzo 1488 ricevé tarì 2 e grana 10 per le spese in medicine servite a Don Ferrante, figlio naturale del re, che si trovava in prigione a Castel dell’Ovo. Il secondo era maestro e nel 1488 si recò a Gerusalemme per sciogliere da un voto il Duca di Calabria”. (15)
  5. Nei due nuclei inferiori si insediarono le famiglie De Angelo e Scafilo, provenienti da altri abitati di Ferrari e Cornea, e alcuni rami dei Damolidei. In particolare, questa famiglia, per numero e potenza economica divenne una delle casate più importanti e facoltose di Montecorvino, consentendo ad alcuni suoi membri di ricoprire cariche istituzionali all’interno dell’Università. Fra le personalità più in vista troviamo Giulio, ricco e potente proprietario terriero, il quale per il prestigio goduto nell’élite montecorvinese ottenne nel 1494 da Alfonso II il titolo di barone di Montecorvino. (16)
03
Note
  1. “21 settembre 1598: Terra ortale nel casale Ferrari, giusto l’acqua corrente detta l’Acqua Viva”.
  2. “Anno 1308-9 in Castro Montecorbini: Presbiter Petrus Ferrarius grana X, Presbiter Johannes Ferrarius grana IV”. M. Inguanes – L. Mattei Cerasoli – P. Sella, Rationes Decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV, Campania, città del Vaticano – Biblioteca Apostolica MDCCCCXLII, p. 404, n. 5981.
  3. “Uno dei gruppi famigliari più importanti ad Olevano tra i secoli XIII e XIV sembra essere quello dei Demiludedis. Un Demeloddeeus è ricordato tra i boni homines dell’inchiesta di Niccolò d’Aiello del 1203 mentre nel 1233 Petrus Demiludedis è baiulo di Olevano, personaggio in grado probabilmente di acquistare tale magistratura – si ricordi che l’ordinamento federiciano prevedeva che tale ufficio potesse essere concesso gratuitamente e a titolo oneroso, in ogni caso solo a personaggi di comprovata fedeltà al sovrano e rettitudine. Si tratta probabilmente dello stesso giudice Petrus de Demilodedis, testimone (ad hoc specialiter convocatus) nel 1240 della ricordata compravendita di una parte di un trappeto che vide come attore l’arcivescovo Cesario. Un altro iudex Demiludedi compare in un atto del 1250. Poi una lunga assenza nei documenti fino a giungere al 1307 quando un giudice Deumilududum capeggia i sindaci, procuratores et nuncios eletti dagli olevanesi, concives eorum de melioribus, nel riconoscimento definitivo delle prerogative monopoliste sui frantoi dell’arcivescovo dominus”. A. Di Muro, Terra uomini e poteri signorili nella Chiesa salernitana (secc. XI-XIII), Modugno 2012, pp. 139-140.
  4. “Gregorio di Damolidei testimone, chiamato, giurato ed interrogato … sul quarto [articolo] … [interrogato] sulle circostanze disse che lo stesso teste per tutte le cose, e aggiunse che lo stesso teste e suo fratello comprarono il detto erbaggio per sessantadue once dagli Ufficiali del signor Arcivescovo. Interrogato da quanto tempo disse da quarant’anni”. A.D.S., Reg. Mensa n. 33. A. D’Arminio – L. Scarpiello – C. Vasso – R. Vassallo, Toponomastica storica montecorvinese, op. cit., pp. 24 a 33.
  5. “21 luglio 1554 casale Rubella
    Il nobile Jacobo de Cunsilibus dona al figlio Ottavio due domo, una superiore coperta ad astrico e una terranea coperta ad astrico, sita nel casale Ferrarioru, giusto i beni di Juliano De Angelo, eredi del fu Rinaldo De Angelo e i suoi beni a tre parti, nonché una terra ortale ivi, avanti alle domo, do lo pizo delo muro di ditte case e la torre ad lo muro delo orto do la banna soprana, quali confina con li eredi del fu Rinaldo De Angelo, e per lungo e per largo palmi 18 da ditte mura di case verso lo orto, giusto li altri beni di esso Jacobo”. A.S.S., notaio N. Venturello, B. 3246.
  6. A.S.S., notaio F. D’Alessio, B. 3253, 29 luglio 1565.
  7. “3 novembre 1558: Giovanni Tesauro vende a Desiderio Pezuti una domo terranea in due membri, sita nel casale Ferrarioru, bono Finamore de Cunzolibus, Giovanni de Cunzolibus e altri beni di detto Giovanni”. A.S.S., notaio F. D’Alessio, B. 3251.
  8. “Diomede Cioffi di S. Cipriano sembra che nel 1420 si spostasse in Montecorvino per meglio sorvegliare i feudi posseduti in quelle terre, forse contratte con il matrimonio con qualche nobile donna di quel luogo (ignoto il casato). I Cioffi si stabilirono in Ferrari presso la strada pubblica. Questa casa aveva due corpi separati, Casa Cioffi soprana, Casa Cioffi sottana, e cioè situate nella parte alta del paese e nella parte bassa del paese, con locali a pianterreno e primo piano, con orti vicini” M. Cioffi, Memorie e documenti. Origine della famiglia, dattiloscritto, p 160.
  9. “10 giugno 1641: Casa Cioffi soprana alla Rocca. Possessione e domo diruta dalle fondamenta nel loco detto la Rocca seu Casa Cioffi soprana, giusto via pubblica, beni di Giulio Cesare De Angelo et altri. Redditizia per grana 5 a Santa Maria della Rocca”. A.S.S., notaio A. D’Alessio, B. 3298.
  10. Elenco dei beni della Chiesa di S. Pietro del 1634: “Item alla Tempa dei Cioffi, sotto il Convento dei Cappuccini, un olivetello che era beneficio semplice unito al Collegio, confinante con la piazza dei Cappuccini, la via che va alli Cappuccini e Horazio Invidiato, al presente Gio Carlo Serino, e la via che dalli Ferrari va a S. Eustachio”. Archivio di San Pietro di Montecorvino, Libro Campione n. 15, p. 51.
  11. M. Cioffi, Memorie e documenti. Origine della famiglia, op. cit., p 160.
  12. M. Cioffi, Memorie e documenti. Origine della famiglia, op. cit., p 160.
  13. Testamento di d. Gennaro Maiorino del 26 maggio 1508. Alcuni giorni prima, il 5 maggio, il Nostro scrisse istrumento di donazione di beni da parte d. Gennaro alla chiesetta di Santa Maria delle Grazie. C. Tavarone, Racconto storico e artistico della cappella di S. Maria delle Grazie in Montecorvino Rovella, op. cit., pp. 16-75.
  14. M. Cioffi, Memorie e documenti. Origine della famiglia, op. cit., p 160. “Cioffi del Ramo medesimo che da Salerno il 15 ottobre 1496 ebbe da Re Federico II di Aragona un privilegio di familiarità del salernitano Scipione Cioffi in premio dei servizi prestati da lui e dai suoi antenati alla Casa Reale. (Nota: L’aggiunta è mia e la ricavo da <>, I, 1894 n. 1. Estratto dalla presentazione di P. Natella del libro: M. Cioffi, L’Abbazia di S. Leonardo di Salerno e la sua contrada, Salerno 2005.
  15. M. Cioffi, Memorie e documenti. Origine della famiglia, op. cit., p 160.
  16. F. Serfilippo, Ricerche storiche sulla origine di Montecorvino nel Principato Citeriore, Napoli 1856, p. 100.

La Fontana

01
Dall’asse viario S. Martino-Ferrari-Molinati partiva una via pubblica che conduceva ai fondi agrari della parte bassa dei Ferrari. A poca distanza dall’incrocio si apriva una biforcazione da cui partivano due strettole che portavano alla Fontana (1) e alla via detta nel Cinquecento “delli Bassi”. In particolare sulla stradina per la fontana pubblica furono edificati, probabilmente nella seconda metà del ‘300, due o più case murate, con entrata sotto arco, piccole torri (2) e orti siepati e murati. Queste abitazioni furono costruite da personaggi appartenenti al ceto dei vassalli della chiesa, attirati in loco dalla presenza di acqua e di coltivi posti in luogo semipiano e facili da coltivare. Leggermente al di sotto della strettola della Fontana vi era una via vicinale, lungo la quale furono edificate le case della famiglia De Angelo. I nuovi arrivati, ricchi e facoltosi, proprietari di fondi propri e di varie concessioni feudali, costruirono una torre principale, detta poi di Marcantonio, (3) e altre due poste a nord (4) e sud (5) della stradina, costituendo un vero e proprio borgo fortificato.
02
Nel corso del XV secolo, la relativa sicurezza, la crescita socio economico e l’aumento demografico portarono all’ampliamento dei due nuclei trecenteschi e alla costruzione di nuove case lungo l’asse stradale proveniente da S. Martino e nella parte bassa. Il nuovo borgo, costituito intorno e vicino alla fontana, e tra la strada S. Martino-Ferrari e la strettola inferiore, divenne in breve per numero di abitanti e per il livello sociale il principale e più importante nucleo abitato di Ferrari. Nelle nuove abitazioni, infatti, troviamo diversi rami dei Damolidei, vari nuclei famigliari dei De Angelo e le nuove famiglie dei Piccoli, Pizzuti e Bassi o Vassi.
Nella seconda metà del secolo assistiamo a un ulteriore ampliamento del costruito, alla ascesa sociale di alcune personaggi, i quali per ricchezza e prestigio erano membri autorevoli dell’élite locale. Fra questi uomini eminenti vanno annoverati Clemente Piccolo e Marcello o Metello De Angelo, insigniti nel 1494 del titolo di Baroni di Montecorvino da Alfonso II d’Aragona. (6)
03
Note
  1. “3 dicembre 1564: Inventario dei beni del fu Pietro de Angelo del casale Ferrarioru.
    Item tre case, una terranea e doi palaziate, site nel casale Ferrarioru, giusto i beni di Agostino de Gilio, lo herede de Parisi de Angelo, co uno cortiglio, confinante con la via pubblica de la Fontana. Item un’altra casa palaziata nel medesimo casale, confinante con Angelo de Angelo e Joe Jacobo de Beneditto. Item un’altra casa terranea nel medesimo casale, confinante con Nicola Meo e la via pubblica de la Fontana, un orto di sopra con vari alberi fruttiferi, confinante con Sapato Piccolo, Antonio de Angelo e la Fontana pubblica”. A.S.S., notaio F. D’Alessio, B. 3253.
  2. “4 gennaio 1556: Fra i beni di Nicomede de Angelo c’è una casa che si dice la torre e un horto murato, siti nel casale Ferrarioru”. A.S.S., notaio F. D’Alessio, B. 3250.
  3. “13 settembre 1606: Marcantonio de Angelo possiede fra i suoi beni uno hospizio di domo, cioè quattro terranee e doi palaziate, con certe fabrite, con turri e giardino murato, site nel casale Ferrari, giusto i beni del Notar Vincenzo Vasso, domo di Alfonso Pezuto et altri”. A.S.S., notaio F. Maiorino, B. 3271.In un successivo documento viene specificata il nome della torre: “19 giugno 1613: Inventario dei beni del fu Bartolomeo de Angelo: Item una casa terranea, sita nel casale Ferrari, e proprio sotto la Torre di Marcantonio de Angelo, giusto i beni del notar Vincenzo Vasso”. A.S.S., notaio V. De Dina, B. 3277.
  4. “27 gennaio 1622: Giovan Carlo Denza, in qualità di Economo e Cassiere della Venerabile Confraternita del SS.mo Rosario di S. Eustachio, vende a Flaminio Damolidei una domo terranea sive peduzzo o peduco di torra, sita nel casale Ferrari, giusto via vicinale, beni di Giovanni Bassi, eredi del fu Marci Antoni De Angelo per un prezzo di duc. 30. Il Denza afferma che detta domo è pervenuta alla sudetta Confraternita per essere erede del fu Bartolomeo De Angelo. Il detto Flaminio afferma che detta compera e stata fatta insieme ai fratelli clerico Verniero e Giovanni Basso”. A.S.S., notaio A. Meo, B. 3284.
  5. “8 agosto 1604: Il notar Carlo de Angelo possiede uno domo terranea coperta a pingi, un’altra domo co lamia discoperta con orto murato nel casale Ferrari, ubi dicitur la torre, confinanti con i beni di Alfonso Pezuto, Michele de Angelo e via pubblica”. A.S.S., notaio F. Maiorino, B. 3272. In un atto successivo del “23 marzo 1622, Vito de Angelo possiede fra i suoi beni una domo detta la torre, sita nel casale Ferrari, giusto i beni di Giovanni Bassi ed altri”. A.S.S., notaio A. Meo, B. 3284.
  6. F. Serfilippo, Ricerche storiche sulla origine di Montecorvino nel Principato Citeriore, op. cit., p. 100.

Arenara

01
L’asse viario con i Molinati rappresentava nel Medioevo la principale arteria di traffico, dove transitavano tutte le merci, gli animali e gli uomini del villaggio di Ferrari e degli abitati vicini. Il tracciato si snodava attraverso la linea S. Martino-Ferrari-Molinati, formando nella parte centrale un incrocio con la via Rocca-Fontana. La strada che partiva dal predetto incrocio, in direzione di Molinati, attraversava una serie di piccoli rilievi, che per la loro conformazione orografica rappresentavano dei luoghi ideali per edificare case di modeste dimensioni. Nel corso della seconda metà del XIV secolo, probabilmente, furono costruiti su entrambi i lati una serie di terrazzamenti murati, dove erano poste delle piccole abitazioni a corte chiusa. (1) Non sappiamo il numero e la consistenza degli edifici ma sicuramente appartenevano a famiglie di piccoli proprietari e censuari locali, dediti alla coltivazione dei fondi agrari siti fra Ferrari e Molinati.
02
Nel corso del ‘400 assistiamo, probabilmente, alla costruzione di una nuova strada in direzione della chiesa di S. Eustachio. I due nuclei trecenteschi, siti al disopra e nella parte inferiore, furono parzialmente abbandonati, con la costruzione di nuovi edifici lungo le due vie che portavano rispettivamente a Molinati e alla nuova chiesa di S. Eustachio. Nell’abitato inferiore troviamo alcuni membri della famiglia Meo, i quali per esigenze famigliari e per loro comodità edificarono, probabilmente, una serie di edifici siti nell’angolo posto fra le vie di Molinati e Fontana, costituendo il nucleo abitato più cospicuo della famiglia. (2) Nella seconda metà del secolo, la crescita economica e sociale della casata consenti l’ampliamento del costruito e il riconoscimento a un suo membro, Fioravante, del titolo di nobiltà da Alfonso II d’Aragona. (3)
Nella parte superiore furono edificate lungo la strada per Molinati alcune abitazioni a corte chiusa da parte delle famiglie Invidiata, Serino e Barbiero. Queste casate, proprietari di beni e concessioni feudali, raggiunsero, con molta probabilità nella seconda metà del secolo, un buon livello sociale, consentendo ad alcuni suoi membri di accedere nel clero locale e di ricoprire cariche elettive all’interno dell’Università. Fra questi vanno annoverati Giovanni Invidiati e Nicola Antonio Barbiero, testimoni nel 1502 in un atto notarile di d. Gennaro Maiorino. (4)
03
Note
  1. “6 Marzo 1771: Testamento del Magn. Crescenzo Corrado. Al figlio Tomaso assegna due giardini murati, l’uno attaccato all’altro, con due case dentro, una soprana e l’altra sottana, corrispondente alle porte dentro e fuori di detti giardini, siti nel casale Ferrari”. A.S.S., notaio M. Ragone, B. 3386.
  2. “6 Marzo 1771: Testamento del Magn. Crescenzo Corrado. Al figlio Nicolantonio lascia un appartamento di case con cortile e possessione contigua, con un’altra casetta terranea attaccata alla detta possessione, ed è sotto la casa di Fabio Vignola, con due siti di case dirute al cortile sudetto, site e poste nel casale Ferrari, le stesse che comprò dal Sign. Carmine Antonio Meo, atteso che l’altro sito di case dirute terranee e soprane col spiazzo ò sia piccolo cortile murato, corrispondente alla porta della possessione resta riservato ut infra.
    Al Sign. Tomaso, suo figlio, assegna un appartamento di case in più e diversi membri, poste nel sudetto casale di Ferrari, nel quale esso testatore ha fatto dimora, sopra il soprannominato piccolo cortile con un suolo di case dirute, soprane e terranee, attaccati alli altri due siti di case lasciate al Sign. Nicolantonio, con espresso comando che non si possono cacciare in alcun modo finestre o altre servitù verso il cortile lasciato al sudetto Sign. Nicolantonio, e perciò si debbono fabbricare li vestigi antichi delle porte e finestre che esistono in detto sito di case, e cacciarli e farli in detto piccolo cortile, con fabbricarsi ancora la porta, che dal detto piccolo cortile sporge verso la possessione lasciata a sudetto Sign. Nicolantonio, e rispetto allo stillicidio di detto sito di case si debba formare a secondo il sito antico, e la grada vecchia attaccata a tutti li sudetti siti di case, che principia dal sudetto primo cortile, sia in beneficio di detto Sign. Nicolantonio”. A.S.S., notaio M. Ragone, B. 3386.
  3. F. Serfilippo, Ricerche storiche sulla origine di Montecorvino nel Principato Citeriore, op. cit., p. 100.
  4. “29 novembre 1502 vendita da parte di Antonio Serfilippo a Don Gennaro Maiorino di una terra sita allo Sottano, giusto vallone dello Zillo, confinate con Marcelli De Lucia et altri. Atto per mano del notaio Pietro Arminio. Si sottoscrivono Agostino de Auria, giudice annuale, e i testi: Moscardini Piczuli, Giovanni Imbediata e Nicola Antonio Barbiero, tutti de Montecorbino”. Archivio Maiorino.
L’attribuzione a Ferrari di Giovanni Invidiata è solo in forma ipotetica in quanto esistono altri rami nei villaggi di S. Martino e Rovella.

Arpignano nel Medioevo

01
Nella località Arpignano, poco al di sopra dell’’antica strada che collegava questa parte di territorio con Olevano e Montecorvino, fu fondato da un Arpinus (1) un fundus con relativa abitazione, depositi per i prodotti agricoli e stalle per gli animali domestici. Collegato con i vicini fundus di Maiano, Fontigliano e Marzana, era dotato di una sorgente perenne che garantiva un approvvigionamento idrico per tutto l’anno. Il nucleo abitativo era al centro di una vasta proprietà, diretta dal conductor locale, abitato da manodopera servile e da allevatori di bestiame. Rappresentava, insieme a Maiano e Pezza, fra il tardo antico e il periodo latino medievale, una vasta area umanizzata fra Olevano e Montecorvino. È molto probabile, quindi, che ci sia stata in questo periodo una certa continuità abitativa, nonostante la lunga e perdurante crisi protrattasi dal VI al VII secolo.
L’antico prediale di Maiano, appartenente a un Maius, latifondista romano o salernitano, era sito poco al disopra di Arpignano, vicino alla detta strada antica e contiguo a una sorgente d’acqua chiamata in seguito Fontana di Mazzeo. Il fundus rappresentava il relitto toponomastico di una vasta area montana con peculiarità silvo pastorali e dalle caratteristiche poderali di una grande proprietà rurale. Il centro aziendale, probabilmente, era costituito da una piccola villa rustica, fortificata e in posizione rialzata rispetto all’antico tratto viario romano. Le modalità di insediamento erano simili al vicino fundus di Arpignano con il quale condivideva l‘estesa area agraria di Pezze.
02
L’invasione longobarda e l’insediamento di una fara a Piano Antico causarono l’abbandono dei due fundus romani e l’emigrazione dei suoi abitanti verso i vicini abitati di Olevano e Montecorvino. Le sue caratteristiche agrarie e la ricchezza di acqua favorirono una certa ripresa agraria e abitativa negli ultimi secoli del dominio longobardo. Pur non avendo toponimi in merito, la presenza del termine Guarno (2) e alcuni sporadici ritrovamenti di monete del periodo ci fanno ipotizzare che questa nuova colonizzazione abbia avuto una certa durata anche nel periodo normanno svevo.
Il piccolo nucleo demico era inserito nel Feudo di Olevano, appartenente all’Arcivescovo di Salerno, il quale come era consuetudine concedeva in feudo vari terreni e fondi agrari. Nel febbraio del 1221 assegnò al suo cuoco Costantino della Scala alcune terre in Olevano e precisamente nelle contrade Lucignano, Rupi, Fratta e Arpignano. (3) Il nostro villaggio era composto, probabilmente, da una serie di piccole abitazioni rurali con terreni coltivati a vigna intorno e da una serie di piccoli viottoli, che collegavano queste modeste abitazioni con la chiesa di S. Matteo. Come era consuetudine per tutte le chiese rurali, anche S. Matteo era il luogo di incontro degli abitanti del borgo, aveva un rettore istituito ed era dotato di un altare e un piccolo cimitero. Nel 1309 il Beneficiato era d. Pietro de Acerno che pagava al sub collettore delle decime papali oncie due. (4) In più era tassata per le offerte dei fedeli per tarì III, (5) cifra modesta ma comunque indicativa di una presenza, anche se in numero esiguo, di abitanti residenti in loco.
03
La proprietà dei vari terreni era nella mani di forestieri, legati dal vincolo di vassallaggio all’Arcivescovo Feudatario. Nella vicina località di Cannito, nel 1341, l’Arcivescovo Benedetto concede in feudo un terreno al giudice Corrado De Abinente di Olevano. Alcuni decenni dopo, nel 1364, (6) l’Arcivescovo pro tempore riconferma la concessione feudale per premiare, probabilmente, il giudice per i “servigi” prestati alla Chiesa di Salerno nel feudo di Olevano. Nella medesima località il successivo Arcivescovo Guglielmo concede ben due terreni in feudi, consistenti in vari coltivi e boschi di querce. (7) Il quadro agrario e che emerge dai dati documentali della seconda metà del secolo indicano la presenza di vasti terreni a bosco e prato intorno al villaggio e di fondi agrari nell’abitato, coltivati a vigna, olivi ed altri “alberi fruttiferi”. I proprietari di questi terreni, come abbiamo visto in precedenza, sono sia forestieri sia locali. Fra gli allodieri di Arpignano troviamo un certo Sciarra (8) e Muzzolo Biancamano, il quale nel giugno 1397 vende ad Antonio Picaturo di Acerno una terra con vigna, olivi ed altri alberi fruttiferi per ben “11 oncie d’oro, pagati in carlini d’argento della moneta di Sicilia”. (9 La cifra considerevole e la qualità del fondo rappresentano un dato sorprendente sia per il periodo sia per luogo, ritenuto da molti storici villaggio abbandonato e insignificante. Ancora più sorprendente è la volontà dell’acquirente di trasferirsi da Acerno ad Arpignano, pagando una cifra considerevole per un “arbosto misto” montano e isolato rispetto agli altri centri di Olevano. Evidentemente la posizione elevata e difendibile, favorì nel corso del Trecento la costituzione di due o più nuclei accentrati, intorno alla chiesa di S. Matteo e vicino alla due fontane sorgentifere. Questa abbondanza di acqua e la mancanza di irreggimentazione convinse, probabilmente alcuni decenni dopo, un certo Mazzeo, locale terriero, a fabbricare una fontana con relativa ”pescheria”. (10) Le due strutture idrauliche, (11) avevano, quasi sicuramente, una serie di piccole vasche e lavelli utilizzati per uso domestico, per lavare panni ed alimenti, irrigare gli orti e far bere le pecore, i buoi, le vacche, i maiali e altri animali da cortile.
04
Nel corso del ‘400 assistiamo a una intensa e proficua opera di dissodamento delle terre vergini e una trasformazione parziale dei coltivi, attraverso l’impianto di varie piante da frutto e di olivi. (12) In questo quadro di bonifica e messa a coltura, un ulteriore aiuto all’economia del casale fu dato dalla pastorizia e l’allevamento dei maiali e di animali da lavoro, che contribuì attraverso la concimazione e l’utilizzo dei buoi e degli asini a una maggiore produttività. Questa progressiva e intensa attività agricola pastorale avvenne grazie all’abnegazione e i sacrifici della popolazione locale e dei piccoli proprietari del luogo, i quali per integrare i magri raccolti, prendevano in fitto le terre dei vari enti ecclesiastici e dei concessionari feudali di Olevano e Montecorvino. Il progressivo aumento del tono economico favorì la crescita socio economica e demografica, con l’arrivo di nuove famiglie contadine da altri siti. Questi nuovi arrivati insieme alle vecchie famiglie residenti ottennero, probabilmente negli anni ’40 o ’50 del secolo, l’elevazione a parrocchia di S. Matteo. (13) Fra le motivazioni che spinsero l’Arcivescovo e la sua curia a istituire un prete con funzione di parroco vi erano le mire espansionistiche del vicino vescovato di Acerno e la volontà, probabilmente, di alcuni abitanti di entrare nell’orbita del vicino distretto parrocchiale di S. Eustachio. Parte dei proprietari e Beneficiati, infatti, erano di Montecorvino ed erano legati spiritualmente ed economicamente al Vescovo di Acerno, proprietario di una vasta zona boschiva che arrivava fin sopra il casale. In base alla documentazione fin qui analizzata si può ipotizzare che fra le famiglie residenti durante il secolo ci siano i Biancamano, Picaturo, Sciarra, Mazzeo, Canito, Francisco e Buccardo.
05
Come abbiamo visto l’intero villaggio apparteneva alla diocesi di Salerno ed era parte integrante del Feudo della Mensa di Salerno. I suoi abitanti si dichiarano di Olevano e frequentavano sia I vicini villaggi olevanesi sia Montecorvino a cui erano legati da stretti rapporti di amicizia e di parentela. I confini territoriali in nostro possesso, invece, indicano che Arpignano era parte integrante del Tenimento di Montecorvino già nel 1370. (14) La descrizione, infatti, indica il limite fra le due Università nei due valloni posti fra la cima del monte Foresta e il fiume Cornea. Tale limite territoriale fra Olevano e Montecorvino è confermato anche nei secoli successivi, quando i due siti vallivi vengono chiamati rispettivamente Francisco (15) e Tarazza. Quindi in base a questi documenti e assodato che Arpignano si trova ad Ovest del vallone Francisco, il nostro villaggio era nel “Tenimento di Montecorvino”.
06

Note

  1. “ … Padroni di interi ettari di terra fra Olevano e Montecorvino sono Arpinus, Maius e Frosius”. P. Natella, Studi Olevanesi, in “Euresis” 1990.
  2. “28 febbraio 1562: Pietro Angelo Frecena assegna al Magn. Innocenzio D’Alessio una terra con alberi di querce et altri alberi fruttiferi, sita nel loco detto lo Guarno in casale Arpignani, pertinente Olibano, confinante con altri beni detto Magn. Innocenzio, via pubblica et altri. In cambio riceve un olivito con alberi di olivi, sito nel luogo detto Santo Belardino, pertinente Montecorvino e proprio do la Chianello, confinante con Joe Cerasi, Santo Belardino et altri”.
    A.S.S., notaio F. D’Alessio, B. 3252.
  3. C. Carucci, Codice Diplomatico Salernitano sec. XIII, I, Subiaco 1931-1946, p. 137.
  4. M. Inguanes – L. Mattei Cerasoli . P. Sella, Rationes Decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV, Campania, città del Vaticano – Biblioteca Apostolica MDCCCCXLII, 399, n. 5900.
  5. Ratio Dec., op. cit., 447.
  6. A. Balducci, L’Archivio diocesano di Salerno, Salerno 1959, pp. 60.61.
  7. Concessione ad Enrico De Ligorio, Reg. Mensa n. 33. A. D’Arminio – L. Scarpiello – C. Vasso – R. Vassallo, Toponomastica storica montecorvinese, Battipaglia 2001, p. 122.
  8. “30 luglio 1559: Giulio e Simone de Cunzolo di Arpignano, Terra di Olibano, donano a D. Innocenzio D’Alessio, di Montecorvino, una terra con cerze e altri alberi fruttiferi, sita nella terra di Olibano e proprio ubi dicitur la Macchia di Sciarra, confinante con S. Maffei de Arpignano”.
    A.S.S., notaio F. D’Alessio, B. 3251.
  9. “17 giugno 1397 Olibani
    Muzzolo Biancamano, figlio del fu Pietro Biancamano, vende ad Antonio Picaturo di Acerno, figlio del fu Giovanni Picaturo, una terra con vigna, olivi ed altri alberi fruttiferi, sita nelle pertinenze di Olibano nel casale Arpignano per 11 oncie d’oro, pagati in carlini d’argento della moneta di Sicilia computando 60 carlini per oncia”.
    C. Carlone, I regesti delle pergamene di Eboli, Salerno 1986, p. 69.
  10. “26 giugno 1767 Ferrari
    Il Sign Carmine Antonio Meo vende vari beni al Sign. D. Crescenzo Corrado.
    Item due pezzi di oliveti e territorio vacuo e con cerze, con fontana dentro, chiamata di Mazzeo, uno contiguo all’altro, siti e posti nelle pertinenze dello Stato di Montecorvino, nel luogo chiamato Arpignano, o sia Fontana di Mazzeo, confinante alla parte di sotto con il territorio di Domenico Leo, comune et indiviso col Rev. Capitolo di S. Pietro, con i beni del Sign. Carlo Sparano, anche dalla parte di sotto, dal lato verso Levante con il Venerabile Monistero della SS.ma Annunziata dei Servi di Maria di detto Stato, da sopra e dall’altro lato con i beni della Venerabile Confraternita del Sacramento e Rosario di S. Eustachio, con altri beni del predetto Capitolo di S. Pietro”.
    A.S.S., notaio S. Corrado, B. 3353.
    “1729: Beni della Chiesa Collegiata di S. Pietro
    Item un territorio di tom. 20 in circa con terre seminatorie e mortelleto nell’accennato luogo delle Pezze, quale confina dalla parte di oriente coll’acqua, che scende dalla Fontana di Mazzeo, e divide colli beni della SS.ma Annunziata di Montecorvino, e gli beni del Sign. Moscati della terra di Serino insino a Capo lo Cagniulo di detto Vallone, da mezzogiorno confina colli beni della macina di piedi, e divide con un limite, corrispondente ad un termine di pietra nel mezzo di detta terra posto, dalla parte di occidente confina colli beni delli Perilli, al presente Giuseppe Pozzuto e di Antonio Morrella, quale confina anco a mezzogiorno, da ponente lo vallone, o Resino , che divide dalli Signori Filippo ed Andrea De Angelis, seu detto Serra Arsa, e da tramontana confina colli beni delli detti Signori De Angelis”. Archivio di San Pietro di Montecorvino, Libro Campione n. 16, p. 70. B. D’Arminio – N. Fortunato, Il patrimonio della insigne Collegiata di S. Pietro di Montecorvino Rovella, Salerno 2011, p. 65.
  11. La seconda potrebbe essere nel luogo detto la Padula.
    “3 giugno 1560: I fratelli D. Vincenzo e Hieronimo De Rosa di Acerno vendono alla Magn. Cornelia Nigro di Montecorvino una terra con querce, sita nella Terra di Olibano e proprio ubi dicitur la Padula, nei pressi di Arpignano e Maiano, confinante con detta Magn. Cornelia, per un prezzo di duc. 12”. A.S.S. notaio F. D’Alessio, B. 3251.
  12. “13 marzo 1456 in Palatio Salernitano
    Nicola, Arcivescovo di Salerno, assegna a Jacobo de Santa Maria di Pugliano, in sostituzione del vecchio Beneficiato, il presbitero Antonio de Persio di Eboli, commorante a Montecorvino, un olivito sito a Montecorvino, nel luogo detto li Birri, bono Sapatilli Maurilli, Antonelli de Nuzzillo di Montecorvino; un altro Olivito nel loco Arpignano, pertinente Olibani, bono Pietro de Buccardo, Marci de Canito et Angelo de Canito. All’atto è presente D. Paolo Sammartino di Montecorvino”.
    A.D.S., Benefici e Cappelle 1374-1568, coll. n. 244.
  13. “Anni ’50 del Quattrocento: Item viene assegnata al detto Don Guarna Celestino di Pugliano per la morte del venerabile viro presbitero Nicolao Magistro Morecta de Montecorbino, ultimo e immediato Beneficiato, la metà di un olivito seu Jure, sito nella terra di Olibano, in casali Arpignani, Nostra Diocesi Salernitana, giusto via pubblica, giusta i beni parrocchiale ecclesia Santi Maffei de Arpignano et alio confine. Detto olivito seu Jure Beneficio e in comune et indiviso con l’altra metà del presbitero Angelo Di Nardo di Acerno, habitator Olibano et Damiano Canito de Olibano, per la morte del fu presbitero Jovanni Cerque de Montecorbino, ultimo e immediato Beneficiato”. A.D.S., Ben. E Cappelle Mont. Pugliano – S. Tecla 1374-1568, coll. n. 244.
  14. “ A parte orientis incipit loco ubi dicitur Antiquus descendendo versus dictam partem orientis per montaneas propre ipsum locum et vadit per montaneas, quae dicitur Forcellata, et descendendo per ipsa montaneas per dicta partem orientis usque ad serram quae dicitur Serra Ventola, descendendo per vallonem, qui dicitur Francisco, quae acqua decurrit per ipsum vallonem, et vadit usque ad fluvium correntem, descendendo per vallonem ipsam parte orientis , quae aqua eiusdem fluvij correnti, descendendo usque ad fluvium Tusciani ..”A.D.S., Reg. Mensa n. 33. A. D’Arminio – L. Scarpiello – C. Vasso – R. Vassallo, Toponomastica storica montecorvinese, op. cit., p. 122.
  15. “5 ottobre 1562: Pietro de Notare di Olibano vende a Diomede De Alessio di Montecorvino un olivito sito e posto nel luogo detto lo Vallone di Francisco, pertinente Montecorvino e Olibano, confinante con il Compratore a due parti, il Venditore e Joe Beneditto De Alessio, per un prezzo di duc. 15”. A.S.S., notaio F. D’Alessio, B. 3252.
  16. “27 luglio 1561: I nobili Pomponio, Orazio, Ludovico e Joe Jacobo de Urso, della terra di Olibano, vendono in perpetuo al Magn. Innocenzio de Alessio, di Montecorvino, due crediti di duc. 10 l’anno sopra la foresta detta Maiano, sita nel loco detto Maiano, pertinente Olibano, confinante con la Tarazza, per un prezzo di duc. 100”. A.S.S., notaio F. D’Alessio, B. 3252.
A cura di Gregorio Soldivieri

L’invaso di Chiararso

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Istigato dall’insistenza del mio amico Lazzaro e persuaso dalla mia personale curiosità per siti medievali siamo andati alla scoperta di un luogo difficile da vedere ma ancor più difficile da interpretare. Siamo in località Chiararso nel Comune di Montecorvino Rovella nel Salernitano. Dopo una breve passeggiata ci siamo allontanati dalla strada carrozzabile e siamo scesi fino al letto del fiume Cornea. Il fiume Cornea nasce dalle montagne che sovrastano il Comune di Montecorvino e si immette nel fiume Tusciano. Il fiume scende con una notevole pendenza e questa semplice osservazione mi ha indotto a delle conclusioni che in seguito andrò a descrivere. Spesso questi luoghi in totale abbandono sono ricoperti di vegetazione, in questo caso la natura si è quasi appropriata di tutto di ciò che gli avevano estirpato.
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Quello che si pone ai miei occhi è sicuramente un luogo interessante di difficilissima interpretazione perché l’unica cosa che esce fuori dalle piante che oramai lo hanno sepolto è la parte superiore di un muro che spunta e sovrasta il contesto.
Il primo approccio e anche il più semplice è stato quello di camminare sulla parte più alta del muro cercando di trovare tracce di qualche copertura o almeno di ciò che restava di incavi di travi. Niente da fare, l’idea della copertura si è subito volatilizzata, anzi in alcuni punti labili tracce di intonaco mi hanno portato a pensare che questo in realtà non era un edificio.
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Allontanandomi dal muro e cercando di eliminare l’erbaccia che lo sovrastava, mi ha incuriosito un elemento che poi è diventato un altro tassello del mio pensiero. Dalla sommità, dopo un salto verso il basso di circa un metro e mezzo un gradone di una larghezza di circa 20 cm per tutta la lunghezza del muro sovrastante fa quasi da contrafforte, dopo una seconda escursione scendendo ancora più giù un altro contrafforte è posto più in basso.
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A questo punto scendiamo alla base del muro, la mia curiosità si alimenta con le difficoltà che vi assicuro sono considerevoli. Mi porto alla base del muro che ho visto prima esattamente sulla sponda destra del Cornea, il muro da sotto cambia aspetto.
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Incomincio a farmi un’idea

Il fiume ha diviso il muro in due parti, praticamente lo taglia in due sezioni. La vista del muro molto più evidente sulla sponda sinistra da ancora un’altra lettura ma che costituisce le basi per le mie deduzioni su questo sito.
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Il fiume ha scavato nel muro, si è creato un varco, lo ha demolito, e demolendolo ha messo in evidenza la sua funzione. Quello che salta agli occhi guardando questa struttura e che sicuramente stiamo parlando di due muri uno sull’altro costruiti in epoca differente ma per un solo scopo. In una prima fase, il muro sottostante da solo fungeva alle sue funzioni, questo lo deduco anche dall’enorme spessore di circa 5m. Guardando la foto ricavata da Google Earth i due muri sono ortogonali al fiume anzi sono stati costruiti subito dopo un’ansa.
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Giusto per creare ancora più scompiglio, mi viene fatta vedere una planimetria che risale ai primi anni del 1900 dove il lato sinistro del muro in oggetto lambisce/tocca una casa di cui oramai non vi è più nulla. Attualmente un vigneto copre totalmente il terreno senza alcuna traccia dell’edificio, è possibile intuire che una notevole frana l’abbia coperto.
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Tornando al mio posto di osservazione, quello alla base del muro in riva al Cornea dove si vedono i due lembi di muri tagliati in due dal fiume i miei occhi notano che un muro di buona fattura poggia su un altro muro più vecchio. La divisione evidente è dettata proprio dallo stato di conservazione, dallo spessore, dalla tessitura e dall’intonaco che ricopre il muro superiore ma che non ve n’è traccia a quello inferiore.
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“I muri in pietra naturale utilizzavano le pietre di risulta, pietre non lavorate proveniente da scavi nei terreni e affiorati magari dopo aver arato il terreno. Un tempo l’aratura del terreno faceva affiorare varie tipologie di pietra e dopo averle scartate si selezionavano mettendo da parte le pietre calcaree e quelle tufacee scartando invece la pietra arenaria e quella silicea.”

Il muro superiore e la sua tipologia costruttiva è la parte maggiore dell’intera opera, mentre quello di sotto con il suo enorme spessore ha fatto da fondamenta.
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Conclusione

Siamo alla fine del xv sec. i territori collinari non consentono lo sviluppo di culture intensive. Negli ultimi decenni del xv sec. l’arte della lana costituì il mezzo più adatto per raggiungere un certo benessere economico, grazie soprattutto alle acque dei fiumi che scendendo dalle montagne alimentavano le gualchiere, i mulini, le tintorie e gli altri opifici. Il fiume Cornea si prestava sicuramente a tale funzione e come risulta ancora oggi tante erano i mulini lungo il suo corso. La casa oramai scomparsa sul lato sinistro del Cornea molto probabilmente era un mulino o una gualchiera che si alimentava grazie alle sue acque. I muri possenti che abbiamo analizzato descrivono la realizzazione di un invaso in due tempi diversi.
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Il primo invaso è stato creato in poco tempo sul lato del fiume destro senza toccare il letto del fiume questo lo si deduce dal muro dell’invaso, non hanno puntato tanto sul manufatto ma hanno compensato con lo spessore del muro. La curva del fiume prima dell’invaso è stata creata subito dopo la costruzione dello stesso. Il fiume in quel punto non aveva nessuna curva e lambendo il fabbricato sicuramente alimentava una ruota di mulino, ma l’afflusso non era controllabile in caso di piena. Quindi la soluzione più ovvia è stata quella di costruire l’invaso per controllarne la velocità e il flusso. Forse perché la portata idrica era aumentata o forse per un eventuale cedimento, dopo alcuni anni si è costruito il muro superiore andando ad usare una tecnica più consona ad una diga (scaloni a decrescere) che ad un invaso, ovviamente l’ampliamento significava anche il controllo del flusso magari con un sistema di caditoie. Non vi è nessuna traccia, ma data la vicinanza del muro in questione all’edificio oramai scomparso si può dedurre che il muro facesse anche da canale portando l’acqua verso il mulino.
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“Queste deduzioni sono scaturite da un’attenta lettura dello stato dei luoghi ma non supportate da analisi archeologiche e geologiche, pertanto ciò che si è scritto non è assolutamente vincolante anzi vuole essere da sprone ad analisi più dettagliate e specifiche magari coadiuvate da tecnici ed esperti del settore.”

Gregorio Soldivieri